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Jean Fabry - CD Brutture Moderne - 18t-57:17

"E' il compimento di un percorso. Per noi la musica non doveva diventare qualcosa di diverso da un dopolavoro; magari è un'idea vecchia ma penso che il professionismo conduca a dei compromessi, e allora è giusto che i Jean Fabry siano rimasti a un livello amatoriale. Ci siamo sciolti mille volte ed è stato grazie a un progetto di musica per i bambini, i Capra&Cavoli, richiestissimi negli asili romagnoli, che siamo rimasti insieme per più di vent'anni. Però lo sfizio di un disco 'vero', beh, quello volevamo togliercelo". Antonio Baruzzi, Paolo Pappi e Davide "Marlo" Bassi sono anzitutto degli amici, questo devo dirlo subito. Pur avvicinatisi, in un tempo ormai remoto, alla ribalta indie (un ep su Mescal/Sony, l'essere coetanei di culti veri della musica romagnola come Montefiori Cocktail e Mazapegul, un epico live durante il quale intonarono Bella Ciao sulle note dell'inno di Forza Italia e poi una miriade di progetti e concerti-evento sempre più miratamente anti-commerciali), i Jean Fabry rimangono un solidissimo culto di provincia, nonchè un monumento dell'outsider music italiana. Non ho la più pallida idea di quale effetto possa provocare quest'album a chi li ascolterà per la prima volta, perchè si tratta nella sostanza di un "best of", un distillato da oltre vent'anni di canzoni, fuliggini, filastrocche e depressioni da sabato pomeriggio, suggestioni da rigatteria poetica e campagne antropizzate a non finire, rime a schema semplice ma a depistaggio garantito. Chi vi parla quelle canzoni le ha nel sangue, ma oggi le ritrova, sul "disco vero" dei Jean Fabry, rimpolpate di umori e immerse in suoni, voci e fantasmi, grazie al superlativo lavoro di studio del fonico Andrea Scardovi. Le loro odi al retrogusto di "punk mentale" (così hanno sempre definito il loro genere), ispirate a un improbabile chansonnier della Bassa romagnola (tal Giovanni Fabbri, di Lugo) ma anche a Jonathan Richman e Giovanni Lindo Ferretti, il punk-rock giocattolo, i valzer dialettali, le ballate metafisiche nascono e muoiono in un vero paesaggio sonoro, brulicante di vita vissuta, voci di amici, colleghi, professori di fisica; matti autentici, compagni di assurde imprese e numi tutelari che non ci sono più. I Jean Fabry raccolgono i pezzi della loro storia e cantano la loro epica di periferia evocando immagini astratte a ripetizione, senza boria, malumori o l'aria di chi pensa di poter salire in cattedra, ma con la fantasia dei bambini e la leggerezza di saggi. Raccontare la vita è compito dei romanzieri, io faccio un altro mestiere e mi limito ai consigli. (8)

Federico Savini

(Blow Up - Maggio 2017)



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